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Studio di Psicologia e Psicoterapia
 
Riconoscete i vostri figli
La Lotta Trigenerazionale
per il Riconoscimento
13.06.2022
figli
figli

Riconoscere un figlio, nel senso comune, è l’atto attraverso il quale si conferma di aver generato il bambino.

È un atto di assunzione di responsabilità.

Ma il riconoscere può essere associato al vedere, al percepire.

“Riconoscere l’altro” nel linguaggio ‘psicologese’ significa vedere i suoi bisogni, le sue capacità e confermare, attraverso accettazione e l’approvazione, la sua identità.

Dunque, si tratta di un atto puramente relazionale.

Questa azione ha una reciprocità poiché per entrambi la relazione è anche il mezzo attraverso la quale ci si comprende e ci si accetta.

Il riconoscimento inizia quando il piccolo dell’uomo si rispecchia nello sguardo benevolo delle sue figure di accudimento primarie.

Il bambino attraverso la relazione, l’affetto, l’interessamento, l’entusiasmo dei genitori nei suoi confronti si sente importante ed impara ad amarsi.

La relazione genitoriale sin dalle prima fasi di sviluppo però deve insegnare anche i limiti e i confini del sé (i “no”).

E attraverso la coerenza di queste indicazioni il bambino imparerà a tollerare la frustrazione e comprenderà anche i bisogni e il rispetto degli altri.

Talvolta i genitori per paura di non essere riconosciuti dai propri figli acconsento a “darsi”.

Il mestiere dei genitori è cosa assai ardua e i genitori vivono prima di tutto le fragilità della persona.

Talvolta, dunque, gli adulti ricercano nei propri figli un riconoscimento che non hanno ricevuto dai propri genitori, prima, e nella relazione di coppia, dopo.

Quindi inconsciamente sperano in un risarcimento attraverso il legame con i figli, confondendo il proprio bisogno di vicinanza con quello dei propri bambini.

La nostra società è costellata da queste dinamiche relazionali e si finisce per allevare eserciti di uomini e donne narcisisti e dipendenti.

Questi tipi di funzionamenti sono caratterizzati proprio dal bisogno di riconoscimento: il narcisista ha bisogno delle fragilità dell’altro per riconoscere il proprio valore mentre il dipendente (affettivo) dipende proprio dal bisogno che venga riconosciuto il suo valore.

La dinamica si complica all’interno del sistema familiare quando tra i figli involontariamente si fanno delle differenze.

“Fare delle differenze “ significa infatti riconoscere capacità, valore, bisogni di un figlio a scapito di altri.

Anche in questo caso incidono su queste dinamiche le proiezioni che il genitore fa dei propri bisogni.

Queste situazioni possono essere comprendere all’interno di un percorso psicoterapeutico sistemico-familiare, che può, attraverso la storia trigenerazionale, spiegarne le cause. L’amore verso un figlio è innato e il genitore intimamente riconosce la portata dell’amore verso i propri figli.

Ma egli ha il compito arduo di donarsi in modo equo agli occhi dei figli. Solo così può riconoscere il valore di tutta la prole.

Nella crescita ci sono altri momenti importanti in cui la persona attraverso il riconoscimento genitoriale afferma la propria identità.

È così dopo la fase della ribellione adolescenziale dove il ragazzo attacca il legame affettivo per riconoscere a sé stesso la propria individualità, arriva la fase in cui il giovane adulto ha bisogno di una riconciliazione con le figure genitoriali.

Questo riavvicinamento è mosso dalla necessità di recuperare le proprie radici per fissarne delle proprie. Una vera e propria spinta evolutiva che passa ancora una volta dal bisogno che le figure di attaccamento riconoscano alla persona la sua amabilità.

In che modo questa volta?

Riconoscendo il valore delle scelte del giovane adulto e legittimando la sua competenza.

Se ciò non avviene è possibile che si verifichino dei conflitti generazionali.

Generalizzando si può affermare che, solitamente, gli uomini chiedono questo tipo di riconoscimento ai propri padri mentre le donne alle proprie madri.

In senso evolutivo queste fasi segnano un passaggio di testimone in senso generativo.

Il giovane adulto richiede dunque ai propri genitori di affermare che è una persona capace e degna di dare amore.

Dott.ssa Chiara Moschella
Psicologa Psicoterapeuta

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