Il Comportamento Passivo-Aggressivo in passato è stato indicato come un vero e proprio disturbo, oggi invece assume le connotazioni di un atteggiamento che può essere riscontrato in vari disturbi di personalità e associato spesso al pessimismo o alla resistenza.
Attualmente il disturbo passivo-aggressivo è stato escluso dal più famoso manuale diagnostico, il DSM V, ma dal punto di vista clinico riscontra sempre molto interesse e attenzione.
Il comportamento passivo-aggressivo si caratterizza solitamente per alcuni atteggiamenti quali silenzio, vittimismo e chiusura, che servono a coprire, in modo più o meno consapevole, sentimenti di rabbia.
In alcuni soggetti questa modalità è talmente pervasiva che caratterizza i vari ambiti della loro vita.
Per esempio, la persona può avere spesso la sensazione di non essere capita o di essere trattata ingiustamente, attribuendo tale comportamento all'altro (solitamente chi riveste un ruolo superiore al suo) senza mai mettere in discussione il proprio atteggiamento; quest'ultimo, che in molte occasioni, cela rabbia e/o un bisogno di autosabotaggio.
I soggetti che usano prevalentemente questa modalità comportamentale solitamente tendono a procrastinare i compiti che gli vengono affidati, sono litigiosi, si sentono sfortunati e non riescono ad accogliere le richieste dei superiori seppur ragionevoli.
Questi atteggiamenti spesso producono scontento e rabbia nell'altro, ma il soggetto non riesce a riconoscersi un ruolo attivo in questa dinamica, mostrandosi piuttosto vittima indifesa.
La persona che usa un comportamento passivo-aggressivo tende a non riconoscere l'aiuto ricevuto, identificando chi gli vuole dare aiuto come un altro carnefice che ha scopi negativi nei suoi confronti.
Chi utilizza in modo massiccio la modalità aggressivo-passiva spesso ha importanti difficoltà sia nelle relazioni di coppia sia nel lavoro.
In quest'ultimo caso la persona vivrà importanti frustrazioni sia nell'interagire con i superiori sia nel riuscire a rivestire ruoli a cui ambisce.
La persona nel contesto lavorativo solitamente si sente non apprezzata e ostacolata per cui può mettere in atto un rifiuto silente; ciò può causare che si litighi e finire con il cambiare spesso luogo di lavoro.
Nella relazione di coppia il soggetto può ricadere insieme al partner in un vortice di conflittualità e incapacità di comunicare sentimenti e pensieri.
Questo comportamento dunque può caratterizzare il funzionamento della persona e compromettere importanti aree della vita e il suo benessere generale.
Alla base di questa modalità di funzionamento del soggetto c'è un sentimento di inadeguatezza e scarsa autostima che mettono in moto da una parte il bisogno di emancipazione e autonomia e dall'altra parte un bisogno di accudimento e dipendenza.
Questa dicotomia è evidente anche rispetto all'ambivalenza dei sentimenti che animano il soggetto.
Inoltre, la persona investe sulle sue capacità e competenze utili a raggiungere obiettivi importanti per la sua crescita, ma al tempo stesso, come una profezia che si auto-avvera, il negativismo sembra condurla all'auto-sabotaggio.
Dunque, il soggetto passivo-aggressivo si impegna in attività che lo potrebbero rendere autonomo, ma mette in atto in modo inconsapevole comportamenti che boicottano la conquista dell'indipendenza.
La persona che adotta queste modalità comportamentali in modo esclusivo solitamente, nei primi anni di vita, è stato un bambino ben accudito e amato.
In seguito un evento critico ha destabilizzato la sua armonia (una crisi coniugale, la madre che torna a lavoro, la nascita di un fratello).
Dunque, le figure genitoriali da amorevoli sono diventate eccessivamente richiedenti, distratte o trascuranti.
In alcuni casi hanno richiesto al soggetto di crescere in fretta facendogli richieste non adeguate alla sua età.
Inoltre, la persona ha imparato, nel tempo, a non dimostrare la rabbia che provava al fine di mantenere la vicinanza con le figure di accudimento che sentiva emotivamente distanti.
Infatti il soggetto ha sperimentato un sistema familiare che non permetteva di arrabbiarsi, dove l'espressione della rabbia poteva paventare un distacco ancora maggiore o poteva essere severamente punita.
Anche a livello sociale, la rabbia ha sempre avuto una connotazione negativa, se non addirittura distruttiva, per cui spesso si è cresciuti con l'idea che mostrarsi arrabbiati può determinare conseguenze dannose per la persona e per chi gli sta attorno.
Il soggetto adulto mette in atto le dinamiche vissute e apprese nell'infanzia: la rabbia per il distacco emotivo delle figure di accudimento si associa al bisogno di trovare una persona che faccia rivivere l'accudimento amorevole ricevuto, risarcendo il bambino che all'improvviso si è sentito non degno dello sguardo benevolo delle proprie figure genitoriali.
Tale ricerca porterà sempre ad una sconfitta, proprio per non deludere il copione tracciato dalle figure genitori e per non tradire ciò che da loro si è appreso.
Il boicottare la propria autonomia e individuazione permette alla persona di rivivere la vicinanza con le proprie figure di accudimento.
Allo stesso tempo ciò genera nella persona una notevole frustrazione e sofferenza che però rappresenta l'obiettivo inconscio.
Un percorso di psicoterapia può aiutare chi mette in atto questo tipo di comportamenti ad avere prima di tutto la consapevolezza del ruolo attivo che riveste nelle relazioni e a rintracciare le cause e le antiche sofferenze che hanno determinato questi atteggiamenti.
Il supporto di uno psicologo può, dunque, supportare la persona nel controllare i propri comportamenti distruttivi e affermare i propri bisogni e desideri funzionali alla sua crescita e al suo benessere.
Dott.ssa Chiara Moschella
Psicologa Psicoterapeuta
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Bibliografia
- American Psychiatric Association (2014). DSM-V, Milano, Raffaello Cortina Editore.
- Benjamin Lorna Smith (1999). Diagnosi interpersonale e trattamento dei disturbi di personalità, Las.
- Lingiardi Vittorio (2004). La personalità e i suoi disturbi, Il Saggiatore.
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